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Giambattista Martini, Magnificat in g (1730)

David Perez, Te Deum in A

 

perez_martini

Padre Giambattista Martini (1706-1784) e David Perez (1711-1778) non ebbero mai la possibilità di conoscersi personalmente. Martini trascorse tutta la sua vita a Bologna, dedito ai suoi studi musicali e musicologici che ben presto lo resero un faro per tutti i musicisti dell’epoca. Perez, dopo gli studi nella nativa Napoli, un breve periodo a Palermo, all’apice della carriera, si trasferì a Lisbona nel 1752, su invito di Giuseppe I di Portogallo: era tra i più pagati ed apprezzati compositori di quegli anni. Non lasciò più le rive del Tago. Per poco i nostri non si incontrarono a Roma, dove committenti diversi li invitarono a lavorare. Nonostante non si strinsero mai la mano, si conoscevano per la loro fama. Talvolta le loro vite si sfiorarono, talvolta i loro contatti furono assai stretti. Nel 1755 Antonio Mazzoni, bolognese, maestro molto apprezzato in città, amico di Martini, lavorò a Lisbona anche quale assistente di Perez, come testimoniano tra l’altro alcune lettere inviate da Mazzoni a Martini stesso. Altri scambi epistolari, del 1764 e 1765, questa volta tra Perez e Martini, ci informano che quest’ultimo inviò pure a Perez una copia della sua celeberrima Storia della Musica, lavoro fatto avere a tutte le più influenti e famose personalità musicali, politiche, culturali dell’epoca. E sappiamo che Perez si rivolse al frate per consigli e raccomandazioni riguardo a promettenti allievi, e sulla situazione in Italia.

Entrambi si dedicarono con abbondanza alla musica sacra. Martini, anche per la sua scelta di vita, ci lascia venticinque Messe, fra cui un Requiem, e oltre trecento composizioni, tra Antifone, Mottetti, Litanie, Lamentazioni, Cantici, Salmi, Responsori, Sequenze e sezioni separate di Messe, per vari organici, spesso a doppio coro.

Tra i Magnificat, quello giovanile in Sol minore del 1730, non concertato, mostra consolidata perizia compositiva, con sfoggio equilibrato di svariate tecniche senza rinunciare a momenti di lirismo e omoritmici; in particolare, è notevole l’indipendenza della parte corale nel misurato concerto tra archi e voci nella tessitura, per esempio nello splendido fugato finale, Amen, e in alcuni passaggi in cui gli archi tacciono, come il Deposuit.

Perez, che nella prima parte della sua vita ottenne la celebrità come operista, dopo il terremoto che nel 1755 distrusse Lisbona e ridimensionò assai il potere politico ed economico della corona portoghese, si dedicò quasi totalmente alla musica sacra, ispirato da una fede profonda, anche se talora descritto come bigotto e ipocondriaco. Il catalogo delle sue opere, ancora in fase di definizione, conta diciannove Messe, tra le quali un Requiem, e oltre centocinquanta composizioni di vario tipo, come nel caso del francescano, ancora per vari organici e molte per doppio coro. Mentre la sua produzione operistica, anch’essa quasi del tutto snobbata dagli studiosi, pare un corpus di transizione, eccetto alcune novità nel musicar le arie (da capo troncati, assenza di ritornelli, più coerenza drammatica), in qualche modo anticipatrici di Gluck, furono molti i commentatori dell’epoca a considerare Perez compositore eccellente nella musica sacra, superiore a Jommelli, tanto da poter numerare la sua produzione sacra tra le più raffinate e vaste del Settecento.

Sono dieci i Te Deum di Perez di cui oggi si ha notizia. Difficile datare il Te Deum in La maggiore. Tuttavia, l’uso limitato dei soli che emergono per brevi passaggi, l’assenza di strumenti eccetto l’organo, la mancanza di nette separazioni stilistiche e la presenza di fonti manoscritte nella sola Lisbona, fanno ritenere che la composizione sia successiva al 1755. Il brano inizia sul secondo emistichio del primo versetto lasciando all’intonazione gregoriana il primo (consuetudine questa certo molto viva a Lisbona, ma non mancano esempi in altri compositori napoletani). Perez lo struttura in sole tre sezioni, Te Deum, Te ergo quaesumus, Aeterna fac, nelle quali mantiene invariato il 3⁄4 iniziale. La parte solitamente più intima, il Te ergo, è in questo caso una sosta al ritmo incessante e nel complesso vorticoso, senza fiato, a tratti assai drammatico, come nel Miserere nostri, che caratterizza il Te Deum nel suo complesso, il cui tema è sempre in balia di un semitono: è un breve momento di tranquillità, all’interno di un maestoso quanto angustiato brano, che esprime un senso di tormento eterno, tipicamente pereziano, sciolto da improvvise quanto splendide frasi, intrise di un rassicurante lirismo, e dalle poche battute del Non confundar finale.

La pubblicazione di queste partiture è il frutto dell’intensa attività di ricerca del Coro Athena. Una delle caratteristiche del gruppo è infatti quella di riscoprire e promuovere repertori di musica corale, in particolar modo del Settecento, che da tempo non sono più fruibili. Questa edizione vuol dunque essere, innanzi tutto, musica a disposizione dei cori, per così dire pronta per l’uso, senza rinunciare al rigore scientifico. Un succinto apparato critico si trova in coda.

Un particolare ringraziamento al Direttore del Museo Civico Archeologico di Bologna, Paola Giovetti, che da sempre anima e sostiene il Coro. Al direttore del Museo Internazionale e Biblioteca della Musica di Bologna, Jenny Servino, e allo staff della Biblioteca Nacional de Portugal, Lisbona, per il prezioso aiuto fornito nel reperimento e nella consultazione dei manoscritti.

 

Bologna, agosto 2011

Marco Fanti

Direttore artistico e musicale Coro Athena

 

A cura di Marco Fanti e Luca Guariento
Pendragon edizioni, Bologna.